Volta la carta

Della vicenda tra Huawei contro gli Stati Uniti, o forse sarebbe meglio dire che sono gli Usa a essere contro Huawei, mi pare che due punti siano particolarmente significativi.

Il primo è relativo al fatto che una questione di politica internazionale vede schierata una nazione, una grande nazione democratica e liberale, contro un’azienda privata. Il Governo cinese fin qui è rimasto, credo giustamente, molto abbottonato sulla questione: è indubbio che dietro le quinte si stiano muovendo molte cose, ma è altrettanto vero che se la Cina si schierasse apertamente al fianco della sua azienda l’intera vicenda potrebbe arenarsi sullo stallo attuale.

La seconda questione, che ho già esposto in modo più o meno esplicito anche in qualche articolo, è che di fatto Google sta agendo per nome e per conto degli USA come un braccio esecutivo di un atto amministrativo di ispirazione politica.
Detto in altre parole: non esiste alcun motivo dimostrato per il quale Huawei costituisca un concreto pericolo per la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti, nessuno si è preso la briga di mostrare pubblicamente alcuna prova a sostegno di questa che più che una tesi è un’ipotesi.
Costringendo Google, e molte altre aziende, a interrompere i propri rapporti commerciali con Huawei si è prodotta una distorsione del mercato i cui effetti vanno a detrimento soprattutto dei consumatori europei.

In tutto questo, il braccio di ferro tra Trump e Pechino ha colpito un’azienda che fino a ieri era in lotta per il primato nel mondo degli smartphone, e che vantava un primato indiscusso in quello delle infrastrutture di rete. Colpirla serve a scombinare le carte soprattutto in quest’ultimo settore: Huawei ha sviluppato pezzi fondamentali del 5G, e gli USA si illudono che tagliarla fuori da quella corsa possa consentire loro di recuperare il terreno perduto.
Si illudono, appunto.

In ogni caso, a mio giudizio il punto più grave di tutta la faccenda è che siamo finiti a discutere di una questione che mi ha fatto tornare alla mente quanto accadeva negli anni ’80 con le licenze per processore: quelle che sono costate a Microsoft una condanna da parte dell’antitrust USA. Qualcuno, un privato, provò a sovvertire il mercato imponendo condizioni capestro ai produttori OEM: scoperto fu punito, ma a quel punto il dado era stato tratto per il mercato dei sistemi operativi desktop.

Quanto stiamo vivendo oggi è senza dubbio diverso: abbiamo visto sorgere e tramontare l’epoca di Symbian, iOS è sembrato poter fare piazza pulita di tutto ma poi è arrivato Android. Oggi certo la montagna da scalare è alta, ma Huawei ieri ha fatto capire che di fondi da investire in questa sfida ne ha (ha sfoderato 1 miliardo di dollari sull’unghia, buttato lì alla fine di un keynote tra i più surreali degli ultimi anni): in più non ha azionisti e Borsa a cui rendere conto. Infine ha come potenziali alleati tutte le altre aziende cinesi (Oppo, Xiaomi, Blu) che da un giorno all’altro si potrebbero trovare messe all’indice come già capitato a Huawei.

Secondo me in tutta questa vicenda non è stata scritta l’ultima parola.
Anzi.
E, paradossalmente, immaginate un mondo della tecnologia in cui la massa critica degli utenti cinesi e dei clienti Huawei sovverte il rapporto di forza e impone sul trono degli OS mobile HarmonyOS al posto di Android: a quel punto gli USA si ritroverebbero con un problema più grosso di quando hanno iniziato questa guerra. Con in mano al nemico cinese, un nemico più economico che politico (ma ha senso ormai fare questa distinzione?), sia la tecnologia dell’infrastruttura che quella dei device mobile.