Nelle ultime settimane praticamente tutti i blockbuster che attendevo con ansia di vedere al cinema sono stati rimandati di molti mesi: 007, Wonder Woman 1984, tutti i nuovi film della Marvel, e oggi è arrivata la notizia che Dune (il mio libro preferito, un regista che mi piace: dire che lo aspettavo ardentemente non rende l’idea) è stato addirittura posticipato a ottobre 2021. Praticamente 1 anno esatto, per un film (come 007, come Wonder Woman, come Black Widow ecc ecc) che era fatto e finito: per tutti era pure iniziata la promozione che ora, mi domando come, dovrà durare più a lungo del previsto.
Rimandare di un anno l’uscita di un film può avere senso per una serie di ragioni: ma farlo per via del Covid19, perché questo è il motivo che spinge oggi le produzioni a farlo, è una mossa che trovo poco ragionevole. Dire che Dune uscirà il 1 gennaio, il 1 agosto o il 1 ottobre è una scelta che ad oggi è del tutto arbitraria: non abbiamo alcuna idea di cosa succederà nei prossimi 12 giorni, figuriamoci nei prossimi 12 mesi. Ci stiamo confrontando con una questione, una pandemia, che non ha precedenti: non tanto sul piano sanitario, quanto soprattutto sul piano economico – visto che nei 100 anni trascorsi dall’ultima grande epidemia, la Spagnola, la nostra società si è evoluta in quel turbo-capitalismo iper-liberista globale che oggi conosciamo bene.
L’equazione scritta dai cineasti è dunque la seguente: l’unico titolo di rilievo uscito in sala è stato Tenet, che è andato discretamente bene considerato che in molti luoghi i cinema sono chiusi o sono accessibili a capienza ridotta, ma non così bene da ripianare i costi. Il rischio concreto è che non si riesca a rientrare neppure dei capitali investiti nella produzione – figurarsi farci del profitto.
Quindi, dicono i cineasti, rimandiamo l’uscita: una scelta che per loro è probabilmente gestibile ma che li costringerà a bloccare o posporre tutte le produzioni seguenti, a tenere “immobilizzati” capitali anche ingenti spesi per girare questi blockbuster di cui stiamo parlando, a rivedere (al ribasso) i budget dei prossimi film, e soprattutto che metterà probabilmente definitivamente in ginocchio un altro ramo dell’industria. Stiamo parlando delle sale cinematografiche, che già non se la passavano granché bene: questa pandemia gli sta assestando il colpo di grazia.
Facciamo un secondo una digressione.
Ho iniziato a interessarmi di diritti, finestre di distribuzione, copyright, drm e tutto quanto ruota attorno il mondo dei contenuti praticamente quando ho iniziato a fare il mio lavoro: il mio primo direttore, Paolo De Andreis, era super-attento e super-preparato su questi temi, e proprio su questi temi mi ha insegnato moltissimo su cosa significhi cercare di avere una visione ampia e di scenario rispetto a un determinato argomento.
Dicevo, dunque, che ne mastico un po’ da anni.
Negli anni ho sviluppato un mio personale punto di vista su cosa servirebbe a questo mondo, in particolare quello dei contenuti audiovisivi, anche sulla base di quanto è successo al mondo della musica: senz’altro il parallelo è un po’ forzato, ma può servire a spiegare la dinamica di quanto può succedere e in parte sta già succedendo nel mondo del cinema – inteso come le grandi produzioni di Hollywood, e di riflesso su chi possiede le sale. Nel mio mondo ideale, ciascun titolo sarebbe dovuto uscire già da molto tempo contemporaneamente su ogni piattaforma: sarebbe stato solo il mio gusto e la mia preferenza a spingermi di volta in volta ad andare al cinema per godermi un film sul grande schermo, o restarmene comodamente a casa per guardarmelo in alta definizione coi miei amici magari dopo una bella cena.
Se si fosse proceduto a fare dei cambiamenti alle dinamiche di questo mercato, che era già da molti anni in profonda sofferenza, oggi staremmo parlando di una grande opportunità; se si fosse proceduto quando era possibile a far sparire dalla faccia della terra le assurde finestre di distribuzione che costringono i film a stare in sala, poi andare a noleggio, poi sulla pay-tv e poi finalmente entrare nei circuiti “ordinari”; se si fosse puntato sul digitale in modo consapevole, sviluppando piattaforme che avrebbero avuto il tempo di consolidarsi e di catturare le preferenze degli spettatori. Se si fosse fatto, i proprietari delle sale cinematografiche avrebbero potuto decidere con maggiore consapevolezza che fine far fare alle proprie strutture, come gestirle, quanto e come investire, in che direzione far andare la programmazione.
Nulla di tutto questo è stato fatto.
L’unico esempio, concreto, in questa direzione è stato il lancio di Mulan – forzosamente piazzato su Disney+ anche per “sperimentare”. L’esperimento, per altro, è stato un successo: pensate a cosa sarebbe potuto essere con alle spalle un percorso sensato e robusto di marketing durato anni.
Certo, l’unica prospettiva ormai percorribile è quella del digitale nudo e crudo: non credo che le sale cinematografiche potranno digerire questi mesi di chiusure forzate, pochissime riapriranno. Molte saranno acquistate a prezzo di saldo, trasformate in tutt’altro o gestite d’ora in avanti con logiche che faranno fuori per sempre il cinema indipendente dal grande schermo. Questa situazione è destinata a tagliare definitivamente le gambe alle sale, e taglierà fuori dal mercato anche i vari distributori intermediari che storicamente hanno pure divorato una certa fetta dei guadagni del botteghino (qui nasce l’unica opportunità di vedere ancora sullo schermo produzioni dal budget gigantesco, i guadagni finiranno tutti nelle tasche delle major), e creerà parecchi grattacapi anche a chi fa cinema che non è made-in-Hollywood.
Il cinema, inteso come settima arte ma pure come luogo dove andavamo ad assistere alla magia della fantasia, non sarà mai più lo stesso.