Un problema di informazione

Domenica sera sono tornato in Italia, dopo una settimana di viaggi in giro per l’Europa in cui mi sono occupato molto poco dei media italiani. Al mio arrivo, come faccio quando ricordo di farlo, ho chiamato i miei genitori per avvisarli che ero atterrato sano e salvo e stavo tornando a casa. Quando ho sentito mio padre abbiamo finito per litigare: a suo dire correvo un rischio molto serio, c’è una pericolosa epidemia in corso.

Le mie letture sul tema le ho fatte, non attingendo al classico paniere informativo italiano, e ho una percezione che ritengo equilibrata della questione: per lui, che si è abbeverato solo ai canali TV nazionali, invece siamo sull’orlo del disastro. 60 milioni di abitanti in Italia, due focolai che hanno fatto appena 250 contagiati (o poco di più), 7 morti che però pare fossero tutti pazienti affetti da altre patologie gravi. Per lui è pandemia.

Non si può minimizzare, certo: ma, a casa in smart working grazie alla disponibilità del mio giornale, mi sono reso conto guardando mezza giornata la TV italiana del perché mio padre l’altra sera sia andato su tutte le furie (e io lo stesso). Abbiamo una gravissima responsabilità, noi giornalisti, per come abbiamo gestito questa faccenda: e la responsabilità va su nella gerarchia fino ai direttori, visto che sono loro a dettare la linea a tutta la redazione. Mi domando a cosa servano, comunque, tutti quei balenghi corsi di aggiornamento e formazione che ci propinano: difronte a una situazione di questo tipo, la categoria ha dato prova di una grandissima dose di dilettantismo in materia di informazione su un tema critico.

PS: Con mio padre ci siamo chiariti. Poveraccio, non mi hai mai perdonato di tifare per la Juventus.

PS: A oggi i contagi hanno superato quota 300, 10 decessi – tutti pazienti in età avanzata e con altri tipi di patologie gravi già in essere.

Giornalettismo luddista d’inchiesta

La puntata di ieri sera di Presa Diretta sull’e-commerce è un ottimo esempio di pessimo modo di fare giornalismo: malafede, logica forzata per dimostrare la propria tesi, evidenza negata pur di demonizzare il “nemico” di turno.

Amazon compra 100.000 veicoli elettrici? Eh sono pochi (quanti ne hanno ordinati altri?). Amazon dona soldi alle scuole? Eh ma uccide i negozi di una cittadina da 4.000 persone. Amazon crea 7.000 posti di lavoro in Italia? Eh ma lo studio americano dice che il commercio tradizionale crea più posti di lavoro (quindi è meno efficiente).

Io vorrei sapere, *per favore*, se la redazione di Presa Diretta è solita cercare il negozio fisico col ricarico maggiore per i propri acquisti, o se invece – come tutti – cerca l’offerta migliore. Ce li vedo ad andare in negozio a dire: “No guardi, non mi faccia lo sconto, preferisco pagare il prezzo pieno per far prosperare il centro storico”.

“Vogliamo fare la battaglia pari”: tasse pari? Ok, però pareggi pure gli investimenti: voglio che pure tu ti doti di veicoli elettrici, che fissi una scadenza per essere carbon-neutral, che mi garantisca gli stessi standard in termini di qualità del servizio e garanzie accessorie. Il motivo per cui perdiamo PIL, competitività, benessere e autorevolezza come Paese è questo nostro aggrapparci al passato, perché noi siamo il paese di Leonardo e Michelangelo: tarpandoci le ali da soli. Vi ricordate l’ipotesi di chiudere Amazon la domenica? E quella di chiudere i negozi nel weekend (con la GDO insorta perché nel weekend produce una percentuale significativa del fatturato)?

Quello in questione è ciò che io chiamo giornalettismo: e non è la prima volta che quella stessa trasmissione, e Report, si comportano così.

Moriremo di storytelling

Moriremo di storytelling perché tutti pensano di sapere come si comunica.
Perché tutti pensano di sapere come si fa giornalismo.
Perché tutti pensano che in un modo o nell’altro, comunque vada, basta mettere le parole in fila e il risultato è lo stesso.

Ma non è così.
Il registro con cui si comunica una notizia non è mai banale, e un giornalista serio (me lo ha insegnato il mio primo direttore) tiene il più possibile i fatti separati dalle opinioni. E se ha delle opinioni, le mette in fila in modo rigoroso e incontrovertibile: è una partita a scacchi contro sé stessi, bisogna imparare a prevedere da soli le obiezioni e le controargomentazioni. È un esercizio complesso, bisogna allenarsi per farlo con efficacia.

Il problema è che non tutti sono giornalisti, manco tutti quelli col tesserino. In molti, però, pensano di fare un lavoro che però è diverso da ciò che è davvero il giornalismo.

E quindi noi moriremo di storytelling: che non è giornalismo.