Think different recitava il claim finale di uno spot celeberrimo lanciato da Steve Jobs nel 1997, quando la parabola che avrebbe portato Apple in cima al mondo (si combatte stabilmente la prima posizione della classifica delle aziende più capitalizzate del mondo con Microsoft e Google) era al principio. La comunicazione di Apple è sempre stata speciale: mi ricordo i poster proprio di quella campagna affissi sui muri del negozio dove acquistammo l’iMac azzurro bondi che ancora conservo sulla scrivania della mia vecchia stanza a casa di mamma.
Negli anni la comunicazione è stata parte integrante del prodotto Apple: la stessa nascita di Apple è stata innanzi tutto una questione di comunicazione, a cominciare dalla contrapposizione col gigante cattivo IBM (1984) fino al confronto con il mondo PC che ha fatto dell’ironia un’arma per rosicchiare quote di mercato al binomio WinTel (Hello! I’m a Mac). In un certo senso erano le differenze, a volte persino i limiti della piattaforma, a diventare un elemento di propaganda. Il punto più alto di questa parabola a mio avviso è racchiuso tra due momenti: il lancio di iPhone nel gennaio del 2007 e quello di MacBook Air un anno dopo.
A un certo punto tutti, ma proprio tutti, hanno guardato a Apple per capire cosa fare in termini di comunicazione. A un certo punto tutti, ma proprio tutti, hanno guardato a Apple anche per capire cosa fare in termini di tecnologia: a Cupertino hanno capito prima di ogni altro l’importanza di un ecosistema, di un legame software tra diverse piattaforme, la svolta mobile first di un mercato consumer che ha finito per contagiare anche il mercato enterprise.
Oggi questi momenti magici durati dal 1977 al 1984 (da Apple ][ a Macintosh), e dal 1997 al 2010 (da iMac a iPad), si sono esauriti. Per 20 anni la Mela è stata quanto di più moderno, affascinante, appassionante e accattivante ci fosse su piazza. Il colpo di coda di questo momento magico è stato il 2013, con una campagna natalizia memorabile e che ancora oggi, ogni volta che la rivedo, trovo commovente. Bissato nel 2014 (esiste anche una versione per la Cina di quest’ultima campagna).
Il motivo per cui ho raccontato per filo e per segno, e per video, questa galoppata di Apple nel corso di 40 anni è perché questa sera ho visto il nuovo spot natalizio firmato Mela Morsicata. È una brutta copia di quello del 2013, davvero brutta, e dice molto della capacità oggi di rinnovarsi a Cupertino: non stiamo parlando di una società incapace di fare prodotti all’altezza delle aspettative dei propri clienti (quella era la Apple alla vigilia del ritorno di Steve Jobs), bensì di una realtà che oggi non è più apparentemente capace di stare al passo con il proprio retaggio.
Questo lungo sproloquio è stato scritto sulla tastiera di un MacBook Pro, a mio avviso questa resta una piattaforma eccezionale per lavorare quando si parla di PC (per gli smartphone, secondo me, meglio guardare altrove): ma se vi dovessi indicare oggi il faro della creatività e della originalità nel settore, non punterei il dito verso Cupertino.
Oggi lo scettro non lo impugna nessuno: di certo non Elon Musk, non Google, non Microsoft che pure ha saputo riguadagnare posizioni importanti. Aspettiamo magari che, ancora una volta, Apple torni a stupirci: ma, e non è così banale come potrebbe suonare dirlo, affinché ciò avvenga forse c’è davvero bisogno di un altro Steve Jobs. Che, ricordiamolo, forse non ha inventato niente di niente: ma ha saputo racchiudere un’idea all’interno di policarbonato, silicio e vetro come pochi altri. Forse come nessun altro.