Parola di Irwin Jacobs (fondatore di Qualcomm)

Another complicating factor is that governments in China and Europe have had industrial aid policies that helped their telecom firms in a way that the US has not. “Our government has not provided R&D support or other support that Huawei and ZTE (another successful Chinese firm) managed to get from their own government,” Jacobs says.

As you might expect, Jacobs, who retired in 2005, dismisses the accusation that Qualcomm’s license fees are excessive. In fact, he says they’ve remained stable even as Qualcomm has provided more technology, and that Qualcomm doesn’t just monetize its existing patents, but depends on a continuing stream of new research—as the company has done in the last decade with the new 5G standard. “Unless you keep running hard, people go right by you,” he says. “And too many of our companies have not made that investment in R&D and kept running hard.”

Qualcomm’s Founder On Why the US Doesn’t Have Its Own Huawei

In una lunga intervista concessa a Steven Levy, il fondatore (in pensione) di Qualcomm riassume in breve come funziona il discorso Stati Uniti contro Huawei e compagni: nessuno ha fatto i compiti a casa, negli USA, adesso si prova a forzare la mano con la politica.

Il punto è: probabilmente il destino di Huawei sarà segnato da tutto questo, ma tra cinque anni si riproporrà la stessa identica situazione quando si inizierà a parlare di 6G. Cambieranno i nomi, non cambierà il risultato: perché, nel frattempo, negli USA, nessuno sta facendo i compiti a casa.

Epic Vs. Apple: una storia sempre più bellissima

Oggi vi racconto una storia bellissima, fatta di paradossi e di situazioni al limite dell’incredibile: una storia in cui la politica internazionale si incrocia con le diatribe tra due aziende private, con sullo sfondo le elezioni presidenziali USA.

Tutto parte da una mossa (neanche tanto) a sorpresa di Epic, che per chi non lo sapesse è anche quella dell’Unreal Engine, che piazza dentro il celeberrimo Fortnite un’opzione per pagare che scavalca i meccanismi imposti da Apple su App Store. Così facendo non dovrà girare il 30 per cento di quanto incassa a Cupertino: ma, ovviamente, passa 1 minuto prima che scatti la rappresaglia. Epic viene messa alla porta da Apple: non solo facendo fuori Fortnite dal marketplace, ma pure terminando l’account sviluppatore di Epic e dunque tagliandola fuori totalmente dalle piattaforme con la mela morsicata (con un effetto a cascata anche per tutti quelli che usano l’Unreal Engine).

A questo punto, Epic va in tribunale (era tutto già organizzato, figurarsi): Apple, dal canto suo, risponde a carta bollata con carta bollata. La storia, evidentemente, durerà ancora molto a lungo.

Ma facciamo un piccolo passo indietro.

Nelle ultime settimane un’altra vicenda ha tenuto ancora banco nel mondo della tecnologia: parliamo della fissazione degli USA, in particolare della amministrazione di Donald Trump, riguardo i cinesi che spierebbero gli americani a mezzo tecnologia. E così dopo Huawei e ZTE, nel mirino ci sono finite TikTok e WeChat. Mossa elettorale, ci sono le Presidenziali alle porte e Donald si deve mostrare forte se vuole ottenere altri 4 anni alla Casa Bianca.

Ora.

Sapete chi c’è dietro WeChat? Non preoccupatevi, ve lo dico io: c’è Tencent, una delle più grandi aziende asiatiche (e quindi del mondo) di tecnologia. Un colosso che, per darvi un’idea, potremmo paragonare a Google per il peso specifico che ha nel mondo digitale a Oriente. E Tencent possiede anche una bella fetta di Epic: una delle considerazioni fatte dopo quell’ennesima minaccia di ban da parte di Trump era stata, per l’appunto, il rischio che dentro il calderone ci finisse pure un blockbuster come Fortnite.

Torniamo alla nostra storia.

Mentre Epic e Apple si cannoneggiano in tribunale, Apple fa una mossa che ha il sapore del trolling: piazza in bella mostra sul proprio marketplace il principale concorrente di Fortnite, ovvero PUBG. Sempre di una battle royale si tratta, ma non la produce Epic.

Sapete di chi è PUBG? Di Tencent.

Quindi, siamo al paradosso di aver sponsorizzato un’app tutta cinese ai danni di un’altra app che è cinese solo in parte. Tutto questo mentre dalla Casa Bianca tuonano contro i rischi per la privacy e la sicurezza, a causa di questi vendor cinesi che passano le nostre informazioni al Governo di Pechino.

È o non è una storia bellissima?

PS: Lo so che il titolo contiene un errore, l’ho scritto apposta così!

paradox

Un’altra Huawei, dopo Huawei

Qualche sera fa, a cena, si discuteva di tecnologia con colleghi giornalisti (sì, tanto per cambiare). Qualcuno ha sollevato la questione “chi sarà la prossima Huawei?”.

La mia risposta a questa domanda è stata, semplificando, che non ci sarà un’altra Huawei dopo Huawei: l’azienda cinese ha investito pesantemente in R&D per mettersi in testa al mercato 5G, delle infrastrutture e dei device consumer, e ora sta lavorando anche per il settore enterprise e delle smart infrastructure. Lo ha fatto e continua a farlo: i risultati le danno ragione, in termini di market share e fatturato.

Parlare di vantaggio competitivo in termini di anni, mesi, giorni o settimane è forse una sciocchezza. C’è qualcosa però che vale la pena sottolineare, ovvero che il mondo della tecnologia e in particolare quello delle telecomunicazioni è fatto di brevetti incrociati e licenze FRAND: visto il gran numero di brevetti che Huawei possiede, e che i suoi concorrenti possiedono, non si può fare a meno di nessuno se si vuol fare sul serio nella costruzione di una rete 5G. E una rete 5G serve, a chiunque voglia contare nel futuro: su questa si costruiranno business, startup, servizi.

C’è ovviamente sul piatto la questione del ban statunitense per Huawei: l’ipotesi bislacca di rivolgersi ai concorrenti, soltanto ai concorrenti, è impraticabile per un paio di questioni molto pratiche. La prima è che non esiste molta concorrenza nella fascia bassa del mercato, dove Huawei la fa storicamente da padrone e in cui conta un bel po’ anche in Nordamerica dove riveste un ruolo significativo per gli operatori rurali. La seconda è che la concorrenza si sta assottigliando: dopo aver dovuto dire addio ad Alcatel e Lucent, che prima si sono fuse e poi sono state acquisite, ora pare che sia il turno di Nokia di avere qualche problema (forse proprio derivante dall’acquisizione di Alcatel-Lucent).

Come detto più volte per gli smartphone, però, meno concorrenza non è mai una buona notizia per nessuno. Speriamo che, presto, si ristabilisca una sana competizione in questo settore.

La verità di Trump su Huawei

La ormai annosa vicenda che vede contrapposti amministrazione Trump e Huawei ricorda molto da vicino quanto dice Han Solo in The Force Awakens: “Same thing that I always do: talk my way out of it”.

Il problema di Trump è che se continuerà a non presentare prove delle sue accuse otterrà solo un risultato: Huawei continuerà a fare affari altrove, e il suo Paese rimarrà ancora più indietro di quanto non sia già sul 5G. Cedendo, in modo forse irrecuperabile, lo scettro tecnologico alla Cina.

Miracolo a Shenzhen

Trump fa fuoco e fiamme ma Huawei si consolida come seconda forza (in crescita) del mercato degli smartphone. Nel frattempo UK e UE danno il via libera all’utilizzo degli apparati cinesi nelle reti 5G.

Morale della favola: l’Asia vola verso il 5G, l’Europa prova a tenere il passo, gli Stati Uniti restano indietro.