Quando ho la fortuna di avere in anteprima, o comunque sulla mia scrivania, un terminale da recensire scatta un problema di metodo: come devo affrontarlo? A quale pubblico devo parlare? Prendiamo il caso del P40 Pro: hardware da paura, software orfano di Google. È un telefono fantastico, ma devo raccontarlo a chi è uno smanettone come me o al grande pubblico? (nel caso specifico ho scelto di rivolgermi a chi era motivato a pensare all’acquisto del P40, altre volte mi comporto diversamente)
Il problema che riscontro, sempre, è che il mio entusiasmo per la tecnologia mi mette sul naso un paio di occhiali che non sono come quelli che inforco per guardare da lontano: ci sono telefoni sulla carta molto interessanti che però venderanno poche migliaia di esemplari, semplicemente perché il marchio ha un certo successo tra gli addetti ai lavori ma viene sostanzialmente snobbato dal pubblico. Al consumatore finale non interessa se, scaricando un apk da fonti astruse su Telegram o su APKPure, riesco a scattare le foto meglio che con l’app di serie: lui usa l’app di serie, non ha tempo di stare come me a smanettare, installare, rimuovere, installare, provare e lanciare urla ogni volta che qualcosa non funziona come mi aspetto. Ha comprato un cellulare e vuole usarlo: non perderci giornate intere per farlo funzionare.
Quando un marchio dice di essere sesto, settimo, ottavo a livello mondiale significa poi che è nella migliore delle ipotesi un’ordine di grandezza dietro ai primi in classifica: significa vendere milioni, o decine di milioni di telefoni se va bene, contro centinaia di milioni. E c’è una bella differenza: primo perché, a meno che non siate Apple, in catalogo avrete almeno una dozzina di modelli e dunque quel numero va diviso per ciascun modello venduto; in secondo luogo, perché è solo producendo e vendendo milioni e milioni dello stesso modello che si può generare un’economia di scala tale da rendere l’investimento nello sviluppo e la produzione veramente remunerativo.
Dove voglio arrivare: a oggi, chi può fare sul serio in Occidente in termini di quote di mercato consolidate è Apple, Samsung, Huawei (sì, lo so) e Xiaomi. Il resto per ora è un mare di emergenti che è ancora lontano dalla consacrazione: la stessa Xiaomi inizia a vedere oggi, dopo anni, le prime conferme alla sua strategia qui in Europa (dove è attiva realmente da un paio d’anni). Quando io stesso, o un qualsiasi mio collega, si esalta per il modello tal dei tali del marchio semisconosciuto, senz’altro gli fa una gran pubblicità: ma poi, in negozio o su un e-commerce, il peso del brand si farà sentire sulla scelta finale del consumatore.
Insomma, oggi ho sulla mia scrivania una serie di smartphone la cui recensione è in uscita: tra tutti OnePlus, realme (la notazione giusta è con la r minuscola: quasi lo preferisco), Motorola. Sono prodotti con storie e traiettorie differenti, devo conoscere la storia che c’è dietro e i retroscena, e so già che nessuno di questi tre farà segnare i numeri che faranno segnare il Mi10 o il Galaxy S20. Quindi devo inforcare gli occhiali dell’uomo della strada, quello che legge i volantini del Mediaworld più che le schede tecniche, e cercare di offrirgli una guida: è molto, molto difficile.
Però questa, se volete, è anche la parte più divertente del mio lavoro.