Miracolo a Shenzhen

Trump fa fuoco e fiamme ma Huawei si consolida come seconda forza (in crescita) del mercato degli smartphone. Nel frattempo UK e UE danno il via libera all’utilizzo degli apparati cinesi nelle reti 5G.

Morale della favola: l’Asia vola verso il 5G, l’Europa prova a tenere il passo, gli Stati Uniti restano indietro.

L’iceberg delle sardine

Con la proposta del DASPO social, il movimento delle sardine si è rivelato ciò che immaginavo potesse essere. L’ennesimo esempio italiano di chi, ottenuto un briciolo di attenzione mediatica, alla prova dei fatti quando deve mostrare la propria proposta programmatica tira fuori delle banalità qualunquiste.

Wikipedia

Non è solo tecnicamente infattibile, ma è anche pericoloso: di anonimato in Rete abbiamo parlato pochi giorni fa e valgono le stesse considerazioni.

Onestamente, stavolta manco ci avevo creduto nelle sardine. E non è (solo) che sto invecchiando.

La fine del retail?

A distanza di poche ore arrivano due notizie simili, ma non identiche, sulle sorti di due catene retail: Gamestop registra risultati pessimi durante le feste, Bose annuncia la chiusura dei suoi negozi in Europa e Nordamerica (e Giappone).

Entrambe le notizie sono legate alla crescita dell’e-commerce e al cambio di abitudini dei consumatori. Da un lato però probabilmente Gamestop ha fatto scelte errate nella gestione della sua strategia, dall’altro Bose ha azzeccato i prodotti ma deve fare i conti con una contrazione degli spazi che si può ritagliare nelle case dei consumatori.

Certo va sottolineato un dato: Gamestop e Bose sono in crisi nel retail, Apple continua ad andare a gonfie vele coi suoi Store.

Huawei in UK, la parola a Boris Johnson

Gli Stati Uniti portano avanti la loro guerra santa contro Huawei, costituita essenzialmente da sospetti per i quali manca qualsiasi prova. Riassumendo, potremmo sintetizzare così la questione: gli USA vanno in giro a dire che forse, in futuro, magari, Huawei potrebbe essere costretta dal Governo cinese a spiare per conto loro.

Si vede che gli USA sanno qualcosa che noi non sappiamo.
Chissà, magari parlano per esperienza.

Scherzi a parte, una dichiarazione del premier britannico Boris Johnson – contenuta in una intervista rilasciata alla BBC e ripresa sulle pagine del Guardian – chiude a mio avviso la questione una volta per tutte:

The British public deserve to have access to the best possible technology. We want to put in gigabit broadband for everybody. Now if people oppose one brand or another then they have to tell us what’s the alternative

Johnson: Huawei critics ‘must tell us what’s the alternative’

Wikipedia

A oggi non esiste ancora un’alternativa credibile, sotto vari aspetti, alla presenza dei device di Huawei nelle infrastrutture di telecomunicazioni. La verità è che gli Stati Uniti sono in ritardo sul 5G e pensano, si illudono, che rimandare possa tornargli comodo: nel frattempo l’Asia corre, e le tigri non resteranno certo ad aspettarci.

Password di stato: perché no (e perché SPID sì)

La polemica che ha infuriato in questi giorni, su un tema piuttosto complesso, è parsa a noi addetti ai lavori una polemica di retroguardia: sul tema dell’anonimato in Rete abbiamo discusso e dibattuto nell’arco temporale compreso tra il 1995 e il 2005. Poi, dopo quel momento, quello che dovevamo dirci ce lo eravamo detto: l’anonimato in Rete serve, è qui per restarci, ha moltissimi limiti nella pratica ma soprattutto non serve inventarsi per Internet regole diverse da quelle che ci sono già. Le leggi funzionano benissimo sia online che offline: non c’è differenza tra online e offline.

Detto questo, vediamo di ricordare almeno qualche ragione del perché l’anonimato in Rete serve.

1. Libertà d’espressione. Qualsiasi sia la vostra obiezione, io ribatto: Primavera Araba. Potrei aggiungere altro sui vari leak (Snowden ecc.), ma poi ci buttiamo sul controverso – almeno secondo qualcuno, non per quanto mi riguarda.

2. Sicurezza. Una sola e unica identità, qualsiasi sia il sistema di sicurezza adottato, è un rischio. Accentrare tutte le informazioni in un unico database significa che se violano quel database avranno i dati di tutti. Infine, gestire un servizio del genere significa molto in termini di affidabilità, resilienza, sicurezza, disponibilità: se pensi che lo Stato debba riprendersi la gestione di SPID e renderlo un servizio sempre più universale e pervasivo (in senso buono), devi mettere in condizione lo Stato di erogare un servizio che per qualità ricorda più Amazon che il sito del comune. A oggi il track record dell’Italia parla di tanti siti dei comuni e nemmeno un Amazon. In ogni caso se posso restare anonimo tranne quando voglio essere identificato, beh, tanto meglio: diminuiscono i rischi di seminare in giro dati preziosi.

3. Tecnocontrollo. Io non voglio che lo Stato possa sapere tutto quello che faccio: non tirate fuori la storia del “se non hai niente da nascondere”, è un’obiezione fascista. Voglio garantire la mia privacy, non voglio che tutte le mie azioni siano associate a un profilo pubblico: se voglio andare sul PornHub non voglio essere identificato con lo stesso profilo con cui accedo al mio cassetto previdenziale. Senza contare le ricadute possibili in termini di rischi che un privato si appropri di informazioni sensibili associate al mio profilo pubblico.

Patrick Hoesly

4. Libero mercato. Io non sono un sostenitore del capitalismo anarchico, ma è indubbio che la concorrenza e la pluralità dell’offerta siano uno stimolo importante per lo sviluppo e la crescita tecnologici. In questa prospettiva, un servizio che si ponga in concorrenza costruttiva con i privati e sia un modello di riferimento per la sicurezza, l’affidabilità e l’universalità può essere un agente positivo – ovviamente se non è obbligatorio.

Poiché il ministro Pisano non è l’ultima arrivata, bazzica il mondo di noi addetti ai lavori da un po’, mi aspetto che queste e altre argomentazioni le abbia sentite almeno una volta nel corso di qualche conversazione, convegno, conferenza. Credo altresì che sia una cosa buona che oggi abbiamo un Ministro per l’Innovazione, un ministro che si esponga per far sì che temi come quelli dell’identità digitale e dei diritti digitali arrivino alla ribalta dell’agenda politica. Un Paese che si preoccupa di come usare la tecnologia per migliorare i propri servizi è un Paese che pone il digitale tra le proprie priorità: e questo non può che fare felici gli addetti ai lavori, soprattutto se si prosegue sulla scia di quanto hanno iniziato a fare gli uomini e le donne del Team per la Trasformazione Digitale.

È stato dialetticamente un passo falso, inutile negarlo. Però non cominciamo il nostro solito tiro al piccione: ci serve un alleato nella stanza dei bottoni, ci serve per recuperare il tantissimo tempo perduto, e non abbiamo neppure più il tempo di stare a sindacare se questo alleato indossa la casacca di un colore o di un altro. Fino a quando farà le cose giuste, fino a quando ci darà le risposte giuste e ascolterà i nostri consigli, un alleato è un alleato: se tradirà le nostre aspettative vedremo cosa fare. Per ora mi pare che le intenzioni siano buone.

PS: Ho goduto come un matto a vedere la foto che gira del ministro Pisano durante il suo intervento a SIOS19. Solo non ho capito dove l’abbiano presa.