Moriremo di storytelling

Moriremo di storytelling perché tutti pensano di sapere come si comunica.
Perché tutti pensano di sapere come si fa giornalismo.
Perché tutti pensano che in un modo o nell’altro, comunque vada, basta mettere le parole in fila e il risultato è lo stesso.

Ma non è così.
Il registro con cui si comunica una notizia non è mai banale, e un giornalista serio (me lo ha insegnato il mio primo direttore) tiene il più possibile i fatti separati dalle opinioni. E se ha delle opinioni, le mette in fila in modo rigoroso e incontrovertibile: è una partita a scacchi contro sé stessi, bisogna imparare a prevedere da soli le obiezioni e le controargomentazioni. È un esercizio complesso, bisogna allenarsi per farlo con efficacia.

Il problema è che non tutti sono giornalisti, manco tutti quelli col tesserino. In molti, però, pensano di fare un lavoro che però è diverso da ciò che è davvero il giornalismo.

E quindi noi moriremo di storytelling: che non è giornalismo.

Scrivere tutti, scrivere meno


Le foto segnaletiche: anche se esposte nel corso di conferenze stampa tenute dalle forze dell´ordine o comunque acquisite lecitamente, tali fotografie non possono essere diffuse se non in vista del perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (accertamento, prevenzione e repressione dei reati). Inoltre, anche nell´ipotesi di evidente e indiscutibile “necessità di giustizia o di polizia” alla diffusione di queste immagini, “il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione”. Tali principi – più volte ricordati dal Garante – trovano conferma in diverse circolari emanate dalle forze di polizia, oltre ad essere richiamati, con riferimento alla generalità dei dati personali, nell´art. 25, comma 2 del Codice privacy.

[…]

La possibilità di diffondere queste informazioni deve tuttavia fare i conti con alcune garanzie fondamentali riconosciute a tali soggetti. Il giornalista deve valutare, ad esempio, se sia opportuno rendere note le complete generalità di chi si trova interessato da un indagine ancora in fase assolutamente iniziale, e modulare il giudizio sull´entità dell´addebito.

[…]

Anche con riferimento ai nomi dei testimoni (e di persone che collaborano a vario titolo alle attività di giustizia) – e al di là dei limiti già previsti da disposizioni specifiche – prevalgono tendenzialmente ragioni di riservatezza. Pure in questo caso è difficile fare generalizzazioni, non potendosi escludere la possibilità di diffondere l´identità e altre informazioni concernenti un testimone quando tale conoscenza sia essenziale rispetto alla notizia pubblicata.

Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti

Attendiamo fiduciosi procedimenti dell’OdG nei riguardi di tutti coloro hanno deciso di infischiarsene delle prescrizioni deontologiche nel caso dell’omicidio del Carabiniere avvenuto a Roma.