Così come già avvenuto su Instagram, ora anche Facebook inizia a sperimentare un nuovo tipo di interfaccia in cui non è più visibile il numero di like.
Dice che lo fanno per combattere il bullismo.
A ‘sto punto eliminate pure il numero di amici e soprattutto di follower però, no?
Trump racconta alla stampa quanto si è detto con Tim Cook a cena, durante un incontro privato.
(E già questo, va beh…)
Quello che dice Trump, riassumendo, è che Apple è preoccupata dei dazi doganali che la Casa Bianca vuole imporre sui beni prodotti in Cina e importati negli Stati Uniti: un 10 per cento di tasse in più che Apple dovrebbe pagare, mentre molti suoi altri concorrenti no. Come Samsung, che i terminali che vende negli Stati Uniti se li fa produrre in Corea o altrove: e dunque non pagherebbe i dazi punitivi.
Tutto questo per dire solamente che: le questioni di principio hanno le gambe molto corte. E la novità si somma alla notizia che anche Huawei riceverà una dispensa rispetto al suo famigerato bando: non è un bel momento per la politica estera di Trump.
Moriremo di storytelling perché tutti pensano di sapere come si comunica. Perché tutti pensano di sapere come si fa giornalismo. Perché tutti pensano che in un modo o nell’altro, comunque vada, basta mettere le parole in fila e il risultato è lo stesso.
Ma non è così. Il registro con cui si comunica una notizia non è mai banale, e un giornalista serio (me lo ha insegnato il mio primo direttore) tiene il più possibile i fatti separati dalle opinioni. E se ha delle opinioni, le mette in fila in modo rigoroso e incontrovertibile: è una partita a scacchi contro sé stessi, bisogna imparare a prevedere da soli le obiezioni e le controargomentazioni. È un esercizio complesso, bisogna allenarsi per farlo con efficacia.
Il problema è che non tutti sono giornalisti, manco tutti quelli col tesserino. In molti, però, pensano di fare un lavoro che però è diverso da ciò che è davvero il giornalismo.
E quindi noi moriremo di storytelling: che non è giornalismo.