Il problema di episodio 9 (UPDATE)

UPDATE 01: Ci sono un paio di post molto interessanti su Reddit che spiegano, o almeno potrebbero essere una spiegazione, quanto scrivo di seguito. Semplificando: quello che abbiamo visto al cinema è frutto di una quantità assurda di compromessi fatti in virtù di esigenze commerciali, e il risultato finale non rispecchia la visione di JJ e del resto della crew. Ve li linko di seguito e vi invito a leggerli.

1. Here’s what I’ve been told from a source that worked on TROS

2. Some Clarifications About My TROS Post and a Statement From My Source

***

Se non vivete su Marte, saprete che a metà dicembre è uscito l’ultimo capitolo che chiude la tripla trilogia di Guerre Stellari (Star Wars): per alcuni di noi, compreso il sottoscritto, era un momento atteso da 40 anni.

Se non vivete su Marte, saprete che il pubblico di appassionati si è diviso: sono molte le voci critiche sulla riuscita dell’ultimo film firmato JJ Abrams. Riassumendo, senza fare spoiler, secondo alcuni (compreso il sottoscritto) il finale di 42 anni di storia è sciatto e scialbo.

In questa ultima trilogia si sono succeduti tre approcci: episodio 7 era decisamente mutuato nella trama, intreccio e messa in scena da almeno due capitoli della trilogia originale. Episodio 8, più originale e cupo (come era episodio 5, d’altronde), si stacca da questo approccio ed è senza dubbio il più introspettivo e interessante della serie (e anche il meglio riuscito): c’è un tema sociale (sebbene edulcorato), un discreto approfondimento della psicologia dei personaggi, bella fotografia e bei dialoghi. Episodio 9 ritorna, visto anche che torna il regista del 7, all’approccio precedente: ma lo fa con meno impegno, deve chiudere una serie di filoni e lo fa senza andare troppo per il sottile per cercare di stare dentro le 2 ore di film (e spicci).

Tecnicamente, ci sono delle informazioni di cui tenere conto. Vediamo quali (la fonte di tutto è Wikipedia).

L’ascesa di Skywalker (2019)

RegiaJ. J. Abrams
SoggettoJ. J. Abrams, Chris TerrioColin TrevorrowDerek Connolly
personaggi creati da George Lucas
SceneggiaturaJ. J. Abrams, Chris Terrio
ProduttoreKathleen Kennedy, J. J. Abrams, Michelle Rejwan

Come è evidente, il secondo ha regista e sceneggiatore diverso. E infatti la storia è diversa, così come la regia: migliore, insomma, sotto ogni punto di vista. Johnson sarebbe dovuto tornare anche per il 9, dopo che il regista originale si era sfilato, ma ha preferito lasciar perdere (non aveva potuto mettere mano al copione, ne era stato estromesso anni fa): allora ci si è rimesso JJ.

Il risultato di questo “ripiego” è evidente: dialoghi slegati, buchi di sceneggiatura, il personaggio di Leia riportato in vita sfruttando vecchi spezzoni girati con la Fisher ancora in vita e adattati alla meno peggio. La domanda sul perché non si sia deciso di ricreare completamente digitale il generale Organa rimane senza risposta (lo avevano fatto con Tarkin in Rogue One): non è che sia un problema di budget, han speso 250 milioni di dollari circa per ‘sto episodio.

Riassumendo, i problemi che ha incontrato episodio 9 sono evidenti: un regista di ripiego, che rimette mano a una sceneggiatura e lo fa assieme a qualcuno le cui ultime prove con mega-produzioni non sono state esattamente stellari (Justice League e Batman Vs. Superman), per tirar fuori un compitino che chiuda alla meno peggio tutte le linee di trama lasciate aperte. Il risultato è un blockbuster senz’anima, non c’è molto di quell’atmosfera e di quell’epica che pure ci ha affascinato negli ultimi anni con Rogue One.

Nella galassia, però, c’è ancora speranza.
A Rian Johnson è stata assegnata la creazione di una nuova trilogia Star Wars, slegata dalla saga attuale, che vedrà la luce nei prossimi anni. Nel frattempo, Jon Favreu ha messo in piedi uno star-western coi fiocchi con la serie TV The Mandalorian.

PS: Per il giudizio sul finale, comunque, vale il sempre ottimo Zerocalcare (occhio: contiene spoiler).

Il problema del giornalismo italiano col genere, riassunto in una immagine

Lo strano caso di Baby Yoda (ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba)

Se non avete ancora visto The Mandalorian, fermatevi qui: quanto segue contiene spoiler.
Se l’avete visto, o se degli spoiler non vi importa, continuate pure.

Nel corso del primo episodio della nuova serie prodotta da Disney, ambientata nell’universo di Star Wars, fa capolino uno dei personaggi digitali più riusciti della storia: uno Yoda picci, un Baby-Yoda, che ha fatto impazzire tantissimi appassionati del franchise ideato da George Lucas negli anni ’70.

Quello che succede è che, com’era prevedibile, il pubblico si riversi sugli e-commerce in cerca di merchandise a tema Baby Yoda: peccato che Disney abbia deciso di non produrre, ancora, alcun giocattolo relativo a Baby Yoda visto che, di fatto, costituisce uno spoiler della serie. E soprattutto che tale serie in alcune nazioni non andrà in onda prima di molti mesi (da noi Disney+ arriva a fine marzo 2020). Mancando pupazzi, statuette o qualsiasi altro gadget ufficiale, la creatività degli appassionata si è scatenata e ha dato vita a delle alternative.

È il caso dello schema amigurumi “The Child” sviluppato da Allison Hoffman e messo in vendita su Ravelry. Ve lo dico avendone visto le foto: è spettacolare. Un lavoro eccezionale di una mente brillante con un talento e una pratica enorme, tale da permetterle di mettere a punto in poche ore un ottimo schema con un risultato finale davvero molto somigliante al personaggio originale. Testa bassa e pedalare, senza scorciatoie.

The Child, di Allison Hoffman

Il successo travolgente di Allison ha attirato l’attenzione della Disney. Così l’azienda di Topolino le ha fatto una telefonatina che potremmo riassumere in: Yoda è mio e lo gestisco io.

Disney ha ragione: detiene i diritti su tutti i personaggi dell’universo Star Wars, dunque nessuno può usarli senza autorizzazione. Allison ha rimosso lo schema dal sito e ora non vende più alcunché legato a Baby Yoda. Qualcun altro, vista l’aria che tira, ha iniziato spontaneamente a rimuovere le GIF di Baby Yoda dalla circolazione, onde evitare di ricevere telefonate da parte degli avvocati Disney.

La questione tra Hoffman e gli avvocati Disney c’è da giurarsi si evolverà, anche se probabilmente non ci saranno conseguenze particolari per lei visto che si è mostrata disponibile a collaborare: ma quanto accaduto è senz’altro esemplificativo di una questione assai complessa. Uno schema amigurumi, che dubito Disney offrirà mai agli appassionati, è da considerarsi un prodotto originale, o un mashup trasformativo, a tutti gli effetti rientrante nelle eccezioni della legge sul copyright? Probabilmente no.
Certo questo limita la possibilità creativa degli appassionati, che al massimo possono provare a restare in un’area grigia del diritto cedendo gratuitamente il frutto del loro ingegno.

La vera beffa, come racconta Fiberly, è che ci sono in giro molti altri schemi amigurumi di Baby Yoda regolarmente in vendita. Anzi, in alcuni casi si tratta dello schema di Allison che viene “piratato” da altri.

Apple e la fine della parabola

Here’s to the crazy ones (1997)

Think different recitava il claim finale di uno spot celeberrimo lanciato da Steve Jobs nel 1997, quando la parabola che avrebbe portato Apple in cima al mondo (si combatte stabilmente la prima posizione della classifica delle aziende più capitalizzate del mondo con Microsoft e Google) era al principio. La comunicazione di Apple è sempre stata speciale: mi ricordo i poster proprio di quella campagna affissi sui muri del negozio dove acquistammo l’iMac azzurro bondi che ancora conservo sulla scrivania della mia vecchia stanza a casa di mamma.

Negli anni la comunicazione è stata parte integrante del prodotto Apple: la stessa nascita di Apple è stata innanzi tutto una questione di comunicazione, a cominciare dalla contrapposizione col gigante cattivo IBM (1984) fino al confronto con il mondo PC che ha fatto dell’ironia un’arma per rosicchiare quote di mercato al binomio WinTel (Hello! I’m a Mac). In un certo senso erano le differenze, a volte persino i limiti della piattaforma, a diventare un elemento di propaganda. Il punto più alto di questa parabola a mio avviso è racchiuso tra due momenti: il lancio di iPhone nel gennaio del 2007 e quello di MacBook Air un anno dopo.

Il lancio di iPhone (2007)
Il lancio di MacBook Air (2008)

A un certo punto tutti, ma proprio tutti, hanno guardato a Apple per capire cosa fare in termini di comunicazione. A un certo punto tutti, ma proprio tutti, hanno guardato a Apple anche per capire cosa fare in termini di tecnologia: a Cupertino hanno capito prima di ogni altro l’importanza di un ecosistema, di un legame software tra diverse piattaforme, la svolta mobile first di un mercato consumer che ha finito per contagiare anche il mercato enterprise.

Oggi questi momenti magici durati dal 1977 al 1984 (da Apple ][ a Macintosh), e dal 1997 al 2010 (da iMac a iPad), si sono esauriti. Per 20 anni la Mela è stata quanto di più moderno, affascinante, appassionante e accattivante ci fosse su piazza. Il colpo di coda di questo momento magico è stato il 2013, con una campagna natalizia memorabile e che ancora oggi, ogni volta che la rivedo, trovo commovente. Bissato nel 2014 (esiste anche una versione per la Cina di quest’ultima campagna).

Apple Christmas 2013
Apple Christmas 2014

Il motivo per cui ho raccontato per filo e per segno, e per video, questa galoppata di Apple nel corso di 40 anni è perché questa sera ho visto il nuovo spot natalizio firmato Mela Morsicata. È una brutta copia di quello del 2013, davvero brutta, e dice molto della capacità oggi di rinnovarsi a Cupertino: non stiamo parlando di una società incapace di fare prodotti all’altezza delle aspettative dei propri clienti (quella era la Apple alla vigilia del ritorno di Steve Jobs), bensì di una realtà che oggi non è più apparentemente capace di stare al passo con il proprio retaggio.

Questo lungo sproloquio è stato scritto sulla tastiera di un MacBook Pro, a mio avviso questa resta una piattaforma eccezionale per lavorare quando si parla di PC (per gli smartphone, secondo me, meglio guardare altrove): ma se vi dovessi indicare oggi il faro della creatività e della originalità nel settore, non punterei il dito verso Cupertino.

Oggi lo scettro non lo impugna nessuno: di certo non Elon Musk, non Google, non Microsoft che pure ha saputo riguadagnare posizioni importanti. Aspettiamo magari che, ancora una volta, Apple torni a stupirci: ma, e non è così banale come potrebbe suonare dirlo, affinché ciò avvenga forse c’è davvero bisogno di un altro Steve Jobs. Che, ricordiamolo, forse non ha inventato niente di niente: ma ha saputo racchiudere un’idea all’interno di policarbonato, silicio e vetro come pochi altri. Forse come nessun altro.

2,5 euro al giorno

TL DR: la famiglia Agnelli ha comprato La Repubblica dalla famiglia De Benedetti.

L’editoria, soprattutto quella di carta, è un mondo difficile.
Andatevi a guardare gli ultimi conti di GEDI.
Eppure c’è chi vuole investire, comprare, acquisire.

Perché, non lo so.